Giardini giapponesi. Natura, artificio, luogo in un mondo altro

giornate internazionali di studio sul paesaggio

2007, quarta edizione

venerdì 2 e sabato 3 febbraio 2007

Chi si occupa da tempo, da cultore della materia, di giardini giapponesi con soggiorni prolungati e conoscenza della lingua, sostiene che i trattati e i testi fondamentali di cui disponiamo “in Occidente”, tali da rappresentare fonti primarie di quella tradizione (a cominciare dal Sakuteiki, il libro del giardino, secolo XI) sono “non più di una mezza dozzina”. In ogni caso ci arrivano passando attraverso inevitabili aberrazioni linguistiche e distorsioni dell’apparato ricettivo, mentale e antropologico. Anche le informazioni sono troppo spesso riciclate. Eppure, e forse non a caso, siamo onnivori di tutto quanto ci arriva da quel mondo.
Idee e immagini, filmografia, letteratura, architettura, design, tecnologia. Recentemente anche cibo. E naturalmente, il catalogo di forme e di vite del giardino.
A dimostrarlo basta la lista distribuita in quest’occasione di libri e riviste che ne trattano, pur limitata ai “disponibili” nella biblioteca della Fondazione. A confermarlo è stato il numero imprevisto (circa 600) di partecipanti a queste giornate di studio, immaginate proprio come un contributo a ridurre quelle aberrazioni e quelle distorsioni. In particolare intorno alle tre parole chiave del sottotitolo: l’idea di natura, l’idea di arte/artificio, l’idea di luogo/spazio/ vuoto. Col corollario di altre intersezioni cruciali, sulle quali aprire almeno uno spiraglio: uomo/natura, memoria/patrimonio/autenticità, innovazione/conservazione. E con il compito arduo di storicizzare anche le oscillazioni dei modi, tempi, strumenti con i quali le abbiamo lette in Europa nel corso degli ultimi secoli, fino ai viaggiatori contemporanei (Maraini, Calvino, …), agli architetti (Taut, Gropius, Le Corbusier, Wright, Scarpa, …), ai paesaggisti (Jellicoe, Porcinai, …), ai filosofi (Löwith, Heidegger, …).
L’obiettivo delle giornate di studio non è stato dunque, alla fine, l’ennesimo accanimento a tentare di leggere e interpretare contraddizioni (un esempio per tutti, tradizione/modernità), di fissare parametri di confronto, di misurare vicinanze e distanze, differenze e analogie, alterità e comunanze; accanimento che è sempre anche bisogno di tracciare confini, tentazione di definire centri e periferie, voglia di “mettere le brache al mondo”.
L’obiettivo è stato invece provare a incontrare i giardini giapponesi come si incontra un’alterità irriducibile, affinché contribuisca, come scrive Fosco Maraini, a «disturbare il Corso Consueto delle Cose».