Una pietra, un logo

Appartenuta a un monumento di epoca romana e successivamente reimpiegata, questa lapide è tuttora conservata nel muro esterno di una delle absidi del duomo di Treviso.
Potrebbe appartenere a un monumento funerario, forse a un’urna; tale ipotesi poggia, oltre che sulla raffigurazione, anche sulla recente identificazione dell’area del duomo come sito della necropoli monumentale nella Treviso romana.
In questa pietra è raffigurata una menade danzante, con il capo rovesciato indietro, il corpo arcuato, il velo svolazzante trattenuto da entrambe le mani sopra il capo, in un ampio movimento sensuale enfatizzato dalle pieghe della veste.
Il tema dionisiaco della baccante che danza, prediletto dalla produzione neoattica, ebbe larga fortuna in età imperiale romana anche nei monumenti funerari.
L’iconografia funeraria con menadi e satiri danzanti accentua il legame con i culti misterici legati a Dioniso e mostra un’ideologia dominata dall’aspirazione a una vita ultraterrena felice e spensierata: Dioniso è infatti il dio del vino e dell’ebbrezza, che prendeva parte alle feste dedicate ai raccolti e veniva adorato come portatore e nume della fertilità.
In età tardomedievale o umanistica, la pietra è stata manomessa con l’iscrizione cristiana «In Ecclesiasticum», cosicché il significato pagano originario dell’immagine appare palesemente e audacemente in contrasto con l’edificio di culto in cui è inserita.
È un esempio di testimonianza da studiare, salvaguardare e valorizzare, che invia un messaggio traslato sulla festa e sulla fertilità, sui campi e i raccolti, sul governo del paesaggio e del giardino.
Nel 1987 ha assunto perciò un suo ulteriore significato, come simbolo di un centro di studi e ricerche sul paesaggio.