In Cappadocia, rileggendo parole di Pier Paolo Pasolini / Man Earth Contact

Drammaturgia per danzatrice e tre musicisti

Man Earth Contact è una composizione di Stefano Taglietti per danzatrice e tre musicisti in scena, ispirata dal rapporto uomo-terra nel paesaggio cappadoce. Attraverso i secoli questo luogo speciale, per molti versi estremo, ha spinto l’uomo a un legame quasi simbiotico, necessario e vitale con la terra, le piante e gli altri animali che la abitano. Il luogo chiede rispetto e insieme dà vita per la sopravvivenza reciproca dentro il tempo che passa e trasforma ogni cosa e ogni essere vivente. Gli abitanti antichi, e quelli attuali, della Valle Rossa e della Valle delle Rose debbono rispetto a ciò che vi trovano, attingono con genio inventivo anche alle più piccole risorse, ne trasformano l’ambiente sentendosene parte, dopo aver scavato le rocce e abitato le viscere di quella terra, in un contatto e legame potente. L’influenza che la specificità di questa terra ha esercitato sull’uomo, e la risposta di questi nei secoli, è là, in tutto ciò che si vede e nella sua spiritualità, in una civiltà rappresentata dalle straordinarie architetture scavate e dai loro dipinti, dagli orti-giardini e dalle piante. La Cappadocia è uno di quei luoghi in cui l’uomo più esplicitamente è parte della terra e la terra forgia l’uomo.

A partire dalla poesia di Pier Paolo Pasolini, The e mele, scritta in Cappadocia nel 1969, mentre lavorava alla sua Medea, Laura Moro ha intrapreso una ricerca cinetica che desidera rintracciare nel corpo della danzatrice gli elementi costitutivi del paesaggio stesso. Lasciandosi ispirare dall’universo sensoriale trasmesso dal poeta, nasce un vocabolario gestuale, fatto di tessiture e resistenze. A questo si alterna la trasposizione, attraverso il segno coreografico, dello spazio reale e immaginifico creato dalla parola, come calligrafia di azioni concatenate, punta di pennello che segue le linee e i piani delle immagini evocate e le scava nel corpo. Ne nasce una partitura di motivi che l’autrice mette in relazione con l’universo sonoro della composizione, seguendone la struttura e lasciando che il suono inneschi un ulteriore livello creativo, che si gioca sullo spazio dialogico tra i musicisti, dove la danzatrice si pensa e percepisce come “quarta voce”, eco dei luoghi.

Lo spettacolo ha una durata di circa 25 minuti ed è strutturato in tre parti:

1. La terra senza tempo: il suono ha inizio con lunghe note del pianoforte, attivate dalla danzatrice, e del kamalengoni, strumento di antica tradizione africana; note lunghe come trame sovrapposte a un’elettronica senza ritmo: l’osservazione del luogo nel silenzio interiore.

2. Contatto con la terra: un crescendo all’ascolto dei suoni della natura e del suo ritmo.

3. Trasformazione e simbiosi: più ritmica e concitata, evocando l’unione fisica dell’uomo con la terra e il paesaggio.