Agenda settembre 2017

Giornate Europee del Patrimonio

Anche quest’anno la Fondazione Benetton aderisce alle Giornate Europee del Patrimonio (23 e 24 settembre), aprendo alla città i propri spazi in occasione di una manifestazione promossa fin dal 1991 dal Consiglio d’Europa e dalla Commissione Europea, con l’intento di potenziare e favorire il dialogo e lo scambio in ambito culturale tra le Nazioni europee. È un buon momento per fare il punto su alcune questioni che ci stanno particolarmente a cuore, che riguardano temi quali la tutela e valorizzazione dei beni culturali e del paesaggio, i rapporti pubblico/privato, beni culturali/economia.
Tutela, valorizzazione: già il fatto di utilizzare due termini distinti rischia di creare equivoci. Per il paesaggio, Domenico Luciani introdusse il termine “governo”, magari un po’ perentorio, ma efficace in quanto descrive un atteggiamento di attenzione, che indirizza usi e destinazioni con continuità, senza differenza tra processi conservativi e utilizzo. Non si tratta di inutili finezze terminologiche, ma di sostanza. Ne troviamo continue testimonianze nel lavoro della Fondazione, basti pensare al sito di Maredolce–La Favara a Palermo, dove abbiamo appena portato a termine il nostro workshop annuale di progettazione paesaggistica, o all’area di Portus a Fiumicino, riaperta alle scuole e al pubblico grazie al nostro intervento. Tutti casi in cui si riscontra una grande separazione tra il momento – fondamentale – della tutela, in capo allo Stato, e le opportunità di un diverso utilizzo dei siti, dove si sovrappongono, con punti di vista diversi, il pubblico e il privato.
Patrimoni culturali e paesaggio sono beni comuni che pretendono di essere a servizio della collettività cui appartengono, dove la conservazione assume senso compiuto nel momento in cui sono vissuti. Vanno stabilite, e rispettate, regole precise quanto ragionevoli, e individuati usi compatibili con la natura del bene, che non ne stravolgano il senso ma lo arricchiscano via via nel tempo, adeguandosi ai tempi e ai gusti che mutano. Premessa ineludibile, la conoscenza. Pensare al patrimonio culturale come bene comune quando non se ne conosce il valore è pericoloso perché espone al rischio di uno stravolgimento di senso, portando non alla valorizzazione ma alla volgarizzazione dei beni culturali. In fondo basta guardare con attenzione e applicare quanto di buono ci viene dall’essere nella comunità dell’Europa, che si è fornita di una serie di strumenti di indirizzo – la Convenzione Europea del Paesaggio, la Convenzione di Faro, che spingono verso l’attenzione e la gestione di tutti i paesaggi – non solo delle eccellenze – a quelle ci pensa l’UNESCO –, salvaguardando anche le usanze sulle quali si sono costruite le nostre civiltà e che costituiscono il patrimonio culturale diffuso che dà un senso alle identità plurali che si sono stratificate nel tempo e che continuano ad arricchirsi nelle contaminazioni fertili delle diversità.
Tutto si può ricondurre alla cultura, alla sua centralità nella vita di ogni comunità di umani, unici tra i viventi a tramandare segni e simboli, opere d’arte di ogni foggia e natura in cui ci riconosciamo perché ci danno il senso del nostro stare al mondo, del rapporto che costruiamo con il tempo e il sacro.

 

Marco Tamaro

direttore